Eccoci arrivati, dunque, a Muxia, in Galizia.
Mi tolgo le scarpe poi, di corsa, fino agli scogli. L’impatto è brusco, i piedi dolenti. Ma non importa, ne vale la pena. Il mare si abbatte con violenza sulla costa frastagliata. Si abbatte con violenza contro la roccia. Ha ingaggiato un’intrepida lotta contro di essa che gli sta, però, dimostrando come la resistenza prevalga sulla forza bruta.
Il cielo è troppo azzurro, fa male alla vista. Sembra quasi che Urano, dall’alto, abbia stretto Gea in un ultimo abbraccio, per poi accettare l’idea di separarsi per sempre da lei.
Blu, bianco, blu, bianco… Potrei andare avanti all’infinito, perché solo questo si vede e si vedrà per sempre.
Nelle orecchie solo il rimbombo delle onde irate. Non sono sola. Per me, però, non esiste altro. Non le voci dei miei, non le canzoni che mio cugino sta canticchiando, non le lamentele delle amiche di mia madre, non il frusciare della cravatta di zio Emil. Niente. Solo io e l’oceano. Se qualcuno mi si avvicinasse, tirando sassate all’acqua lo allontanerei perché mi sta a cuore, l’oceano. Così bello e selvaggio, nessuno lo può guardare con insolenza, nessuno ne ha il coraggio.
Ecco adesso che uno schizzo mi cade sulla mano. L’acqua è freddissima. Se entrassi, rimarrei congelata. Ma svanisce subito, questo magico istante. Per colpa del sole beffardo e invidioso che asciuga subito la sensazione di freddo appena sperimentata.
Anni prima assaggiai l’acqua dell’oceano. Ricordo che per togliere il saporaccio finii l’acqua e fui costretta da papà a prenderne altra. Mai più, pensai. E così feci. Per fortuna.
Poi dolore. Dolore a respirare quel denso profumo di salsedine che si impossessa di te. Smetti di pensare, dentro di te, solo ricordi. Tristi o felici, lontani o vicini, ma sono solo ricordi e non tornerai mai più indietro. Abbandonati, dunque, all’oceano.
-Marnie!!!- grida mia madre. Ma non risponderò. E c’è una buona ragione: sono con l’oceano.
bellissimo!!!!!!!!