Il diario di Anne Frank. Le cronache di una vita troppo corta, una vita ingiusta, sopravvissuta a stento, una storia vera di una ragazza. Un libro che si deve leggere. Per non non dimenticare. Per non sbagliare di nuovo.
Anne ha 13 anni appena compiuti quando è costretta a trasferirsi nella casa retrostante alla ditta dove lavora il padre. È quasi un gioco, per lei: nel Diario racconto di come sia fastidiosa sua sorella, o di quanto sia complicato studiare l'algebra, o magari di come si è spaventata quella volta che pensava fossero i nazisti e invece era solo la donna delle pulizie, a bussare alla porta nascosta. Anne, che ha ricevuto il quaderno come regalo di compleanno, all'inizio ha intenzione di scriverci solo le cronache di una vita tranquilla e felice, forse un po' banale. Ma ben presto il Diario acquisterà tutt'altra forma. Perché è letteralmente impossibile cercare di far finta che vada tutto bene, quando sei costretta a pregare, se senti i bombardamenti e non puoi proteggerti, perché tu non hai un nascondiglio sotterraneo. O almeno, ce l'avresti, ma se esci dal tuo appartamento rischi di essere denunciata solo per essere nata, e allora tanto vale, la morte di bomba può essere più corta e meno dolorosa di quella in un campo di concentramento. E Anne ha paura. Ma chi non ne avrebbe, in fondo?
Dopo un centinaio di pagine, infatti, la ragazza cambia. Non è più una bambina felice. Lei è come chiunque sarebbe dopo due anni rinchiusi in una stanza, senza poterne uscire. Ed è lì che mi è montata la rabbia. Insomma, come può la guerra dissolvere i sogni di una ragazzina, come può sfigurarle l'anima, come può anche solo pensare di poter cambiare qualsiasi cosa? Ma in effetti qualcosa cambia. Cambia la quantità di cibo. Cambia la faccia della gente. Cambiano le urla tedesche in mezzo alla notte, gli spari, le bombe, i sogni nei cassetti, non più "diventare scrittrice" ma "sopravvivere", tutto questo cambia. Dalla bella città olandese che prima era, Amsterdam diventa un mostro, o meglio, una città animata da mostri, di come ce ne erano tante.
Anne ci parla dell'amore con Peter, del cibo che non arriva, della vita che va e viene, ma soprattutto che va, delle piccole gioie, contrastate dalle grandi, enormi, abominevoli tristezze. Del ciclo mestruale, che anche quello sembra non arrivare mai, degli occhi di un ragazzo, delle sgridate della madre, delle verdure, dei libri da leggere e di quelli da sfogliare e basta, del cioccolato. Tutto condito da un buona dose di notizie: come sta andando la guerra, sia quella che succede tra sorelle, sia quella più grande, là fuori, in cielo, in terra; come va l'amore, come va l'amicizia, come va la pubertà, rinchiusa dentro a quattro stanze e tanti incubi. Anne parla di quanto desideri una boccata di aria fresca, là fuori, ma allo stesso tempo di quanta paura ha di uscire. Sia per non farsi scoprire. Ma soprattutto perché sente di essere cambiata, nella Casa sul retro. Sente che la sua città è cambiata, mentre lei era nascosta. Sente che il suo piccolo mondo è cambiato. È distrutto. E lei ha già visto troppo. Ha visto quello che una ragazzina di 13 anni non dovrebbe mai guardare, neanche con il binocolo. Le file di donne urlanti fuori dalla finestra, separate dai figli, separate dai mariti, vanno dritte nei campi di lavoro, mentre i bambini, sopravviveranno in quel treno pieno di corpi privi di qualunque forma di speranza, come tutti ormai? Probabilmente no. Forse sì, ma moriranno nelle camere a gas, o magari riusciranno a superare anche Auschwitz, e allora, arriveranno alla liberazione. Ma il cuore calpestato, il volto distrutto, i cerchi intorno agli occhi, scompariranno mai? Sparirà mai il sobbalzare ogni volta che qualcuno suona alla porta? Anne non lo scoprirà. Perché? Perché morirà. Come altre circa 6 milioni di persone. Morirà, uccisa dalla guerra, uccisa dai pregiudizi, dall'ignoranza, uccisa da coloro che la giudicavano sbagliata. Il suo corpo calpestato dal Tifo che infuriava nel campo di concentramento Bergen-Belsen, il suo cuore calpestato da una buona parte di umanità del 1945. L'unica cosa bella è che la sua memoria non finirà. Non verrà calpestata da nessuno. Mai calpestare un Diario, direi io. Preferibilmente, anche mai calpestare una persona, e neanche un cuore, ma quello non si può più cambiare.
È un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell'intima bontà dell'uomo che può sempre emergere.
Quello che si può cambiare non è il passato, ma il futuro, e indovinate un po', chi è la generazione del futuro? Brav*, proprio noi. Noi che probabilmente siamo finiti su un sito di libri per sbaglio, noi che molte cose le studiamo di mala voglia, noi che amiamo la musica e gli amici, noi che stiamo attaccati a uno schermo, noi che abbiamo anche una crush, perché no. Noi che magari ne abbiamo sentito parlare, di questa Shoah, magari abbiamo anche fatto il lavoretto in terza elementare. Ma ci siamo davvero chiesti perché? E come? E quando? Ma soprattutto, che cosa successe davvero, negli anni Quaranta? Cosa accadeva davvero, nella Casa sul retro? Anne Frank ci ha lasciato questo enorme patrimonio che se lo sogna anche Bill Gates, davvero volete rinunciarci? Davvero non leggerete un Diario che prima di tutto ci dona lacrime da piangere, ma poi anche consapevolezza? E va bene, fate pure. Ma ricordatevi, che il futuro dipende da noi. Quindi, leggetelo, Diario di Anna Frank. Per non sbagliare di nuovo. Per non dimenticare.
Diario
Autrice: Anne Frank; a cura di Guia Risari
Illustratrice: Giulia Tomai
Anno di pubblicazione di questa edizione: 19 novembre 2019
Età adatta: 13-15 anni
Lunghezza: lungo (480 pagine)
Casa editrice: Mondadori
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