Un libro dal lessico antico, dalle pagine raggrinzite, dall'ambientazione popolare. Una Sardegna che pare medievale ma risale al ventesimo secolo, un'avventura scolorita ma appassionante, un amore ricolmo di passione.
Anania è figlio del peccato, è un bastardo. Sua madre Olì quando lo concepisce ha appena quindici anni, ciò la porta ad abbandonarlo: lui vivrà prima con una vecchia vedova e poi verrà accolto dal padre biologico e dalla moglie. Non ha una vita sedentaria, le sue memorie sono poche ma precise: ricorda i tramonti spaventosi della Mamojada, la bellezza arcaica e primitiva dei nuraghe in decomposizione, la nitidezza accecante delle praterie incontaminate, la semplicità dell'ignoranza e della miseria. Dopo essere stato abbandonato dalla madre e aver trovato rifugio nella casa paterna, la sua vita ricomincia: l'ambiente "sviluppato" della città di Nuoro è totalmente diverso da quello di Fonni, villaggio quasi disabitato della montagna dove viveva con Olì e una vecchia vedova. La povertà, però, lo accompagna: entrambi i genitori ci nuotano dentro fino al collo. Il padre, in particolare, lavora per il padrone, uomo ricco rispettato in tutto il paese. Il signor Carboni presta soldi a destra e a manca a tutta la città, e la popolazione (formata da abitanti che muoiono di fame) lo ama e lo stima. Anania lo rispetta molto: non solo per la sua gentilezza e disponibilità nei confronti degli altri, ma anche per Margherita, la bella coetanea di Anania, figlia di Carboni. Sin dal primo sguardo, in giovane età, se ne innamora perdutamente. E la situazione non cambierà per i seguenti sedici anni.
Anania ha però un altro punto fisso: come da tradizione ha il nome di suo padre, ma la sua anima appartiene alla donna che l'ha dato al mondo. Egli cresce, impara, è il primo della famiglia a studiare. Nonostante tutti i cambiamenti, la fissazione per la figura vaga e sfocata di sua madre lo perseguita: chi è davvero Olì? perché l'ha abbandonato? dove sarà adesso?
Anania capisce che la sua è molto più di semplice curiosità, è un'ossessione. E capisce anche che non lo abbandonerà mai. Continuerà a pensarci, anche quando fuggirà dall'ambiente asfissiante della sua città, anche quando le cose con Margherita si evolveranno, anche quando andrà all'università. Anche quando attraverserà per la prima volta il mare.
Anania vive tutto con ansia, reagisce con ira, non conosce vie di mezzo tra ossessione e indifferenza. La sua è una vita di dolore e passione, di lacrime d'amore e di versi scritti di fretta. Ambientata in una Sardegna antica, completamente separata dal continente, una Sardegna immersa nel Tirreno ma soprattutto nelle superstizioni, nella religione, in quello che sembra quasi un medioevo novecentesco.
Sconcertanti sono le descrizioni dei paesaggi, dei volti, delle tradizioni, dei cieli infuocati, dei briganti, dei carri, delle donne contadine, delle giovani peccatrici, delle cantoniere, dei nuraghe monolitici che sembrano miti pietrificati, delle nuvole fatte di goccioline di passione.
La rassegnazione, la natura selvaggia, l'oscurantismo e la limpidezza sono amalgamati in questo libro da Grazia Deledda, primo premio Nobel donna d'Italia, che con la sua scrittura semplice, intensa e sincera riesce a far appassionare ad una storia incredibile e tristissima. Storia ambientata in una Sardegna che non compare nei libri di scuola, una Sardegna pura e piena di ignoranza, felicità, miseria, dove la stessa Deledda visse.
Da leggere per scoprire un grande romanzo dai versi prosatici ma poetici.
Cenere Autrice: Grazia Deledda Anno di pubblicazione: 1904 Età adatta: dai 14 anni in su Lunghezza: medio (256 pagine)
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